I sogni son desideri. Lo dice Walt Disney in uno dei cartoni animati più amati di sempre, Cenerentola. Lo canticchia la Banda Osiris ai nostri microfoni, durante l’intervista. Un’intervista collocabile in quell’interregno a metà tra l’aperitivo e il concerto, quando il soundcheck è andato bene e non si è ancora sudati per gli strapazzi della musica. La gente inizia a prendere posto in platea, la piazza si colora di voci e profumi. Sul palco ci sono loro 4, anzi: all’inizio sono solo in 3. Uno si è attardato nei brindisi – a detta loro – per festeggiare degnamente il suo compleanno. “Speriamo si presenti allo spettacolo”, buttano lì con studiata ironia. Un’ironia che si colloca anch’essa in una terra di mezzo: tra la spontaneità di adulti maturi abbastanza da non crescere mai e la studiata eleganza di chi conosce appieno il ruolo salvifico delle parole.

Perché l’importante è portare sempre con sé una sana dose di questa benedetta ironia, magari creando anche confusione. Se nell’affermarlo poi è un’irruenta chioma bianca sopra due scintillanti occhi azzurri, c’è da crederci davvero. Ironia, confusione e sì, anche follia. Un elemento essenziale per portare in scena un passaggio del Lago dei cigni vestendo il bassotuba di un fluttuante tutù. Pazzesco, bellissimo, applausi dal pubblico! Pubblico che straborda, va ben oltre il numero prestabilito delle sedie. Si accalca ai margini del visibile, da dove il palco sembra emergere come una sorta di lanterna magica. Si siede ai bordi della ferrovia, qualcuno – molti in realtà – resta in piedi. Tutti, dagli adulti ai più adulti tornando ai piccini, sono accomunati dal sorriso.

Che l’umorismo faccia parte della Banda Osiris è un dato di fatto. Un’ovvietà da non considerare però (o perciò) come trascurabile. Chi ci fa ridere ci fa bene, al cuore ancora prima che alla mente. Soprattutto quando il riso è intelligente. Abbiamo già trovato questo sentimento con lo spettacolo dell’istrionico chansonnier Giorgio Conte, la settimana prima in performance a Paspardo. Lo ritroviamo quale costante nei 21 anni di questo festival, quel numero che in tanti leggono come simbolico di una maggiore età finalmente raggiunta. Una questione anagrafica che non pregiudica la sua capacità di trovare il buonumore e d’instillarlo nel pubblico.

“Umoristico” è un aggettivo scivoloso. Dopo decenni di comicità a tratti meschina figlia di palinsesti televisivi di svariati padri e pochi padroni, è bene usarlo con cautela. A parte un paio di valide eccezioni. Tra queste non possono mancare i pazzi musicisti della Banda Osiris e non può mancare nemmeno lo Shomano. Vuoi perché nasce come festival della canzone umoristica d’autore, vuoi perché una sana risata è spesso indice d’intelligenza. Così come denota una certa intelligenza il sapersi prendere poco sul serio.

“I musicisti tendono a prendersi troppo sul serio! Quelli che fanno musica classica certo, per non parlare dei jazzisti…” E ancora “Tra lo sciamano e lo showman noi siamo everybody, sia uno che l’altro”. Che è un po’ come dire d’essere tutti e nessuno, personaggi capaci di scivolare con leggerezza e maestria da una maschera all’altra, a seconda delle vesti da indossare o del palcoscenico da calcare. Basta saperlo, basta esserne consapevoli. “Anche perché avevamo pensato di chiamarci dallo sciamano agli scemi” ironizzano in battuta finale. Giusto per confermare che questa capacità del non prendersi troppo sul serio non è solo parte integrante dello show… ma è un elemento cardine del loro DNA.

Ecco perché ci crediamo poco e al contempo possiamo crederci davvero quando scoraggiano i giovani dall’intraprendere il mestiere del musicista: “se lo conosci lo eviti”, per riprendere il titolo dello spettacolo. Queste “dolenti note” dello show racchiudono e allo stesso tempo stemperano tutto il melodramma dell’artista talentuoso che desidera ardentemente guadagnarsi il pane facendo il musicista. E che si trova suo malgrado a fare i conti con una società in cui la bravura, la musica e la pecunia non sempre si danno braccetto. E allora che fare? Rinunciare, gettare la spugna? Forse no. Almeno, non se è ciò che si desidera davvero. Se il desiderio è profondo e ben radicato. Vale però la pena esserne consapevoli, questo sì. E imparare presto l’arte più difficile di tutte: il farci sopra una fragorosa risata. Un vero talento che possiamo allenare in svariati modi.

Ad esempio… Bisogna essere capaci di cantare in farsetto improvvisando davanti a un registratore. Oppure fingere una lieve baruffa mentre si mimano i tempi della musica. O anche dissacrare lo strumento musicale assurto a incubo delle vecchie scuole medie: il flauto dolce. Soprattutto, confessare i propri fallimenti senza il timore manifesto di venire giudicati. Perché tanto, come sempre, più prima che poi lo saremo tutti. A venirci in aiuto, sempre e comunque, sarà appunto l’intelligenza con la sua figlia più bella, a sua volta madre di tutta la comicità quando questa si può prendere davvero sul serio. A salvarci, su un palco come nella vita, sarà proprio l’ironia.

 

Sandra Simonetti